sabato 29 gennaio 2011

Il “Quarto Stato” del terzo Millennio


Un titolo molto suggestivo, per una serie di una mezza dozzina di email scambiate all’interno della lista “in cerca di rotta” di Milano, un raggruppamento sorto a novembre 2009 dalla suggestione di Francuccio Gesualdi per dar vita e consistenza politica alle tensioni sociali ed economiche che a livello locale raccolgono le vere esigenze delle persone non più sindacalizzate nei grandi Centri del Lavoro, ma sparse sul territorio.
Inizia, dopo qualche mese di “fermo stagionale”, Cosmo C.; in successione cronologica alcune risposte.
Ho pregato Silvia di pubblicare sul blog di Pane e Rose (in questo post) questa miniserie perché credo possa essere utile al nostro attuale dibattito su lavoro e decrescita
Spero di vedere alla fine molti commenti!
Un abbraccio
Rinaldo

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21/01/11 ore 12:02 da Cosmo Carabellese  - cosmoc@alice.it
Ciao a tutti, durante questa pausa nei nostri incontri ho avuto modo di riflettere ulteriormente sul progetto "cerca la rotta" ed in particolare sull'aspetto riguardante la "decrescita" e mi è parsa evidente l'impossibilità economica di perseguire questa utopia che si scontra con l'inarrestabile progresso dell'umanità ormai in corso da quando è iniziata l'era industriale, il cui ridimensionamento rappresenterebbe il ritorno all'economia contadina dalla quale siamo usciti in qualche modo tutti concordi.
Il noto dipinto di Pelizza da Volpedo, "Il quarto stato", che ho rivisto ieri nella prima sala della Mostra del '900 all'Arengario, mi ha forse ricordato maggiormente lo spirito che animava il mondo contadino di uscire da quella situazione di miseria nella quale era immerso forse da sempre.
Inoltre ho riflettuto sulla superficialità dei movimenti che stanno sorgendo in varie parti d'Italia, spinti dall'intollerabile situazione politica che ci pervade, specialmente negli ultimi anni. Ne ho dedotto che la spinta è forte ma, proprio per questo, siamo portati a sottovalutare le differenze che poi emergeranno quando sarà il momento di elaborare un progetto comune più particolareggiato e non generico come agli inizi. Tutti siamo convinti di essere quanto meno un po' meglio di chi ci governa attualmente ma ci sfuggono le divisioni che ci sono tra noi, che emergeranno e facilmente provocheranno gli stessi antagonismi ai quali stiamo assistendo. Se a questa premessa aggiungiamo poi l'insufficiente, per quanto mi riguarda, conoscenza delle materie indispensabili a chi volesse agire in senso politico, ne consegue la mia decisione di concentrarmi, per ora, ad approfondire la conoscenza della sociologia e passare tra gli osservatori del progetto "cerca la rotta", salvo partecipare a qualche prossima riunione se il tempo me lo consentirà.
Vi ringrazio per la pazienza di aver letto queste mie riflessioni e mi prometto di andare avanti a leggere le Vostre ed il materiale che mi vorrete inviare.
Un caro saluti a tutti, Cosmo.               

21/01/11 ore 14:34 da Rinaldo Zorzirinaldo@zorzi.org

Carissimo Cosmo,
nato nei primi anni ’50 faccio parte della generazione che forse si è trastullata per più tempo nella sensazione che tutto bene o male potesse sempre crescere senza fine. Al contrario di mia madre e mio padre (rispettivamente del 1914 e 1915) che avevano vissuto infanzie belliche, ventennio fascista e relativo disastro finale con grande umanità, coraggio e speranza, ricavandone però due insegnamenti diametralmente opposti: da una parte un affidamento assoluto alla Divina Provvidenza, e dall’altra il bisogno di accumulo in vista di “tempi bui”; tutto comunque in modo modesto, nell’ambito di una sana economia domestica.
Io non ho mai sentito particolare bisogno della provvidenza, il welfare continuava a migliorare…, né dell’accumulo, perché le innovazioni materiali e concettuali rendevano man mano il nuovo sempre migliore e più performante… ho vissuto in stand by gli ultimi trent’anni della fine millennio, considerandomi anzi sufficientemente attento sia dal punto di vista sociale che ecologico fino ad accorgermi  che, a livello planetario, quelli della “generazione dell’accumulo” e dell’esagerato “bisogno di proteggersi” che avevano la possibilità di aumentare gli introiti pur diminuendo la qualità avevano premuto senza briglie sull’acceleratore del consumo, diventato quasi fine a se stesso, creando una distruzione parossistica di materie prime ed energia.

Preambolone noioso per cercare di chiederti di immaginare il “Quarto Stato” come potrebbe dipingerlo ora Pellizza da Volpedo. Secondo me, senza assolutamente voler resuscitare fantasmi da “lunga marcia” e “rivoluzione culturale”, si potrebbe vedere la stessa folla, volitiva e cosciente, che si lascia alle spalle le città degli ex poli produttivi trasformati in centri commerciali (inarrestabile progresso dell'umanità?), per andare a riprendersi il diritto di vivere in luoghi dove l’umanità si sostiene collaborando, e ritrova il contatto con la terra e le naturali stagioni: non tanto con la coltivazione faticosa senza attrezzature, ma almeno con la cura di un orto comune.
Credo che questi “monasteri del terzo millennio” come sono ora solo i pochi “ecovillaggi” sparsi in giro per il mondo ed anche in Italia, ognuno diverso come impostazione ma tutti tendenti alla sobrietà e alla partecipazione diretta nella gestione di beni e lavoro, siano il fulcro della nostra possibilità di dare un futuro ai nostri figli. Dove le differenze vengono considerate una benefica e salutare necessità, non certo fonte di divisione ed antagonismo…
Un abbraccio
Rinaldo


21/01/11 ore 14:58  da Giuseppe Poliani - giupolia@tin.it

Non cadiamo nell’errore di pensare, come ad esempio recentemente hanno fatto in molti, che per difendere i diritti nelle fabbriche occorre che le fabbriche ci siano (e quindi bisogna produrre per forza e sempre di più).  Prendo questo esempio perché è il più recente, eclatante e drammatico se pensiamo a quei volti di operai FIAT che non sanno più dove guardare, ed esprime in modo emblematico la difficoltà a parlare di decrescita. E’ vero. Come si fa a parlare di decrescita ad un operaio della FIAT ?  Ti insegue con il forcone, come diceva Bersani.

Marchionne ha agito pensando di ripristinare il vecchio modello di produzione, tirando il collo come sempre e ricattando solo agli operai (la globalizzazione in questo senso non è affatto nuova), sostenuto da Federmeccanica, CONFINDUSTRIA e qualche sindacato storico.
Ma se vogliamo imboccare la strada per un nuovo modello di sviluppo adatto ai tempi ed al futuro prossimo come tutti dicono e come anche Benedetto XVI ha detto nella sua ultima enciclica Caritas in Veritate, decrescita significa allora prima di tutto cultura nuova, della riconversione, significa tagliare il superfluo (ma perché  accompagnare a scuola i figli con il SUV ?), le spese militari , significa fare proprio il limite della natura convincendoci finalmente che la terra è di tutti (se non lo faremo noi fra qualche decina di anni la natura ce lo ricorderà bruscamente) e significa impostare nuove attività e lavori che abbiano una utilità sociale e siamo meno inquinanti.
Oggi quella folla di Pellizza da Volpedo c’è ancora e sono i precari, sono tutti i lavoratori del mondo che chiedono un nuovo internazionalismo dei diritti perché altrimenti alla prossima crisi economica Marchionne o qualcuno al posto suo toglierà lo stipendio agli operai che dovranno lavorare gratis. Ed alla prossima ancora li incatenerà alla catena di montaggio, e cosi via all’infinito.
Preferisco tornare contadino ma non schiavo.
Certo, si fa fatica a impostare un nuovo modello e nessuno conosce la soluzione al problema. Occorre cercarla insieme e dal basso per 1, 10, 20 anni o forse più visto che non abbiamo i poteri che ha Marchionne o altri.
L’unico potere che abbiamo è il pensiero, la cultura, le idee, la determinazione nel seguire la rotta.

Giuseppe Poliani


21/01/11 ore 19:00 da Raffaella Noseda  raffaellanoseda@libero.it

Caro Cosmo, non si tratta di tornare indietro all'economia contadina, si tratta di smettere di perseguire la crescita economica, e quindi dei consumi. Abbiamo capito tutti (o forse qualcuno fa finta di non capire) che la natura e le sue risorse sono limitate, non si può andare avanti così. Non è scritto da nessuna parte che il progresso è inevitabile, è forse sfuggito al controllo umano? (forse un po' sì...).

Non è piacevole la parola "decrescita"? Troviamole un altro nome più gradevole, ma il significato rimane lo stesso: dobbiamo diminuire il consumo della natura. Non è necessario buttare all'aria tutti gli aspetti della vita moderna per un ritorno integrale al passato, bisogna rendersi conto di ciò che può essere salvato e ciò che va necessariamente abbandonato. Noi partiamo da una posizione di vantaggio rispetto ai contadini di una volta: abbiamo conoscenze, tecnologie e strumentazioni che ci possono dare un grosso aiuto nell'attuazione di una civiltà sostenibile.

Forse potremmo parlare meno di "decrescita" e più di "crescita" della consapevolezza della propria impronta ecologia, il risultato porta alle medesime conclusioni

E' indubbio quanto sia difficile attuare questo cambiamento di rotta, ma l'idea che incontrandoci e discutendone diamo un nostro piccolo contributo alla questione mi dà la voglia di continuare e sperare!


21/01/11 ore 19:46 da Cosmo Carabellese  - cosmoc@alice.it
Ciao, ringrazio tutti coloro che mi hanno risposto e vorrei rassicurarVi perché, naturalmente, nelle mie espressioni non pensavo in assoluto alla decrescita ma alla necessità di eliminare le esasperazioni, sia in termini di crescita, sia di decrescita. Tuttavia, assodato che non vogliamo tornare al passato, rimane arduo stabilire quali settori è auspicabile che continuino a crescere e quali altri dovrebbero ridursi; per fare questo occorrono conoscenze che, a molti di noi ed a me in particolare, sfuggono. Intendo dire che è facile parlare in generale di crescita o di decrescita, ma quando si entra nel particolare iniziano le difficoltà. Se a questo aggiungiamo che, mentre noi ragioniamo su queste cose, miliardi di persone nei paesi in grande progressione economica producono quantità di beni, buoni o cattivi che siano, che sfuggono, non solo al nostro controllo ma anche alla nostra percezione, ci rendiamo conto di quanto sia enorme il problema. E' come arrestare un fiume in piena usando le nostre mani. A questo proposito mi ha fatto una certa impressione vedere la presentazione, che Vi allego, che rappresenta le città più popolose del mondo le cui straordinarie dimensioni mi hanno fatto pensare a quale compito arduo sia per poche persone che si riuniscono in una stanza nella, tutto sommato, piccola Milano, cercare di convincere quella marea a produrre di meno.
Occorre che ci inventiamo qualcosa di miracoloso per ottenere qualche risultato.
A presto, Cosmo.   


21/01/11 ore 19:59 da Tiziana Cavallucci - tiziana.cavallucci@fastwebnet.it

Piccola riflessione per Cosmo:
io penso che quello che possiamo e dobbiamo fare è utilizzare il nostro senso critico e non accettare tutto inesorabilmente.
Secondo una recente ricerca fatta da Andrea Segri, in Italia viene buttato via metà del cibo prodotto; questo perché le fonti di energia permettono di produrre in quantità industriali: questo è benessere???
E questo è solo un esempio
Buona serata
Tiziana


21/01/11 ore 21:16 da Sandra Cangemi - sandra.cangemi@yahoo.it
Caro Cosmo, hai ragione. Tutti/e siamo cresciuti/e nel mito del progresso e della crescita infinita e non è facile anche solo immaginare una via diversa. Il fatto è che volenti o nolenti saremo costretti a ridurre i consumi, e abbastanza in fretta. Possiamo farlo per tempo (relativamente) e in modo il più possibile equo (o il meno possibile iniquo) cercando di ridistribuire le risorse e di ridurre i nostri immensi sprechi, oppure più tardi e con conflitti sempre più violenti, dove i privilegiati cercheranno di conservare i loro privilegi contro gli altri, ma alla fine ci rimetteranno anche loro. Ovviamente tra questi due estremi sono possibili molte vie di mezzo.
Il problema è anche che la capacità delle persone di auto illudersi (e di credere alle favole che qualcuno propina loro) è spesso sconfinata e supera non di rado ogni evidenza della realtà. E poi c'è l'abitudine a un certo stile di vita, difficile da scalfire (lo vediamo anche su noi stesse/i). Quindi abbiamo scelto una strada difficile, e probabilmente votata all'insuccesso (per ora almeno).
Però, prova a pensarci: quanta gente parlava di decrescita e cose simili 10 o 15 anni fa?
Ciao
Sandra

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ora tocca a voi commentare... !!!

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