Qualche estate fa, mentre pulivo tra i tavoli all’aperto di un ristorante dove facevo il cameriere, il proprietario mi disse “attento anche alle cicche nel giardino, che quella roba rimarrà lì anche cent’anni dopo la nostra morte.”
“Non solo le cicche di sigaretta”, pensai “ma anche le plastiche da imballaggio, le batterie per auto, i rifiuti industriali e via discorrendo.” Più ci ragionavo più sembrava che la situazione fosse senza via d’uscita. Ma forse una soluzione c’era (e c’è).
Rob Hopkins, 43enne inglese esperto di permacultura – cioè il metodo di progettazione agricola di insediamenti umani che imitano gli ecosistemi naturali – ragionava su questi stessi problemi (e a molti altri) già da parecchio tempo quando nel 2005, sulla base di un esperimento condotto per circa due anni in un college irlandese, fondò il movimento delle Transition Towns.
“Non solo le cicche di sigaretta”, pensai “ma anche le plastiche da imballaggio, le batterie per auto, i rifiuti industriali e via discorrendo.” Più ci ragionavo più sembrava che la situazione fosse senza via d’uscita. Ma forse una soluzione c’era (e c’è).
Rob Hopkins, 43enne inglese esperto di permacultura – cioè il metodo di progettazione agricola di insediamenti umani che imitano gli ecosistemi naturali – ragionava su questi stessi problemi (e a molti altri) già da parecchio tempo quando nel 2005, sulla base di un esperimento condotto per circa due anni in un college irlandese, fondò il movimento delle Transition Towns.